Una nuova sentenza del Tar di Lecce impone di fermare le attività più inquinanti degli stabilimenti di Taranto al massimo entro due mesi.
Dopo la sentenza del TAR di Lecce che impone lo spegnimento dell’area a caldo dell’acciaieria di Taranto perché mette in pericolo la salute dei cittadini, Confindustria lancia un appello: “Interrompere la produzione e la fornitura dell'acciaio prodotto a Taranto mette in seria difficoltà le intere filiere della manifattura italiana che ne hanno necessità”.
La stessa Arcelor Mittal fa sapere che lo spegnimento dell’area a caldo comporterebbe un "totale blocco della produzione dello stabilimento, qualificato di 'INTERESSE STRATEGICO’, l'unico sul territorio nazionale a 'ciclo integrato' per la produzione di acciaio".
Non è la prima volta che, a seguito di provvedimenti atti a risolvere il problema ex ILVA, si ricorda che si tratta di un ‘asset strategico’. Lo abbiamo sentito ripetere più e più volte negli ultimi decenni.
Ogni qualvolta si cerca di salvaguardare la salute dei tarantini, da troppo tempo ormai trascurata, puntualmente si ricorda che lo stabilimento è considerato fondamentale per l’economia italiana.
E’ vero che il siderurgico di Taranto è l’unico sul territorio nazionale a ‘ciclo integrato’; infatti la parte a caldo che era presente anche nello stabilimento ILVA di Genova era stata chiusa per salvaguardare la salute dei genovesi. La produzione che veniva realizzata a Genova era stata spostata a Taranto, con buona pace dei tarantini.
Lo stabilimento di Taranto è obsoleto, lo si legge anche nella sentenza del TAR di Lecce. Questo perché è nato “già vecchio” e negli anni non sono stati effettuati adeguati interventi di ammodernamento.
Se una nazione considera strategico un asset, come mai se ne ricorda solo quando un TAR ne impone la chiusura per motivi ambientali?
Quanto vale la salute dei tarantini?